Heidi – Francesco Muzzopappa

Heidi, di Francesco Muzzopappa, mi è arrivato a coscienza da un post entusiasta di Tegamini, della quale, pare, non condivido i gusti. Ero partita con aspettative troppo alte, forse. Giudicate voi, e se l’avete letto, ditemi che ne pensate.

Da dove iniziare a parlare di “Heidi”? Dalla trama, direi. Che sarebbe pure carina, lei, irritante qua e là, ma gradevole. Solo che intorno alla trama ci sono cose, nella fattispecie: una protagonista intollerabile e uno sforzo inane per fare ridere.

Iniziamo da Chiara, la protagonista, nonché voce narrante. Vittimista, pessimista, petulante, lamentosa, passa dall’inazione tra l’accidioso e il disfattista al compiere azioni riprovevoli – in gergo, cazzate. Oltre a questo, c’è il problema della voce: nella prima parte del romanzo non riuscivo a togliermi dalla testa che a parlare fosse un uomo. Chiara pensa come un uomo crede che una donna pensi, e l’effetto unghie sulla lavagna è dietro l’angolo – e l’unica altra donna con una certa presenza, Greta, è altrettanto artefatta e stridente.

Passiamo all’aspetto comico. Mentre la storia si sviluppa, si viene interrotti dalle continue battute, giochi di parole, iperboli, situazioni paradossali, personaggi macchietta, pensieri fuori posto (l’effetto di un personaggio in pericolo che prende una pausa dal descrivere l’azione e comincia a tergiversare), rottura della quarta parete in momenti casuali (“vedete” “giudicate voi” “osservate” – ma chi ti conosce), tutte cose che strappano magari anche una risata, ma fanno violenza al lettore impedendogli di seguire lo sviluppo delle cose.

Aggiungiamo che i pensieri di Chiara sono francamente nauseanti (avrai anche avuto un rapporto difficile con tuo padre, ma che ci sia sempre e solo fastidio quando parli di lui o con lui è poco credibile e molto detestabile), che anche quando è colpa sua (sempre) e combina danni (sempre) riesce a fare la vittima alla “tutti ce l’hanno con me”, e otteniamo un mix esplosivo che mi ha portato a non voler abbandonare perché “dai, tanto è corto, scorre, e poi vediamo come va a finire sta cretina” ma anche a far fatica ad andare avanti perché “speriamo che crepi saccagnata di botte, sta cretina”.

Menzione di disonore: bambino transgender che non può andare in TV perché c’è “la fascia protetta”. Perché trans=operatore sessuale, immagino.
Il 1930 ha chiamato, rivorrebbe le sue idee indietro.

Forse sono partita male io. Forse, più che come romanzo, avrei dovuto prenderlo come divertissement, come esercizio di stile, come scommessa (“vediamo quanti spunti umoristici diversi, non del tutto riusciti, infilandoci sessismo e transfobia internalizzati, riesco a piazzare in duecentotrentatré pagine, pronti via”), forse è colpa mia. A ogni modo, fortuna che dalla biblioteca è arrivato e alla biblioteca tornerà, così ho risparmiato spazio e denaro. Ma non bile.

[Spoiler]
Io papà in ospedale l’ho avuto sul serio. L’ho visto morire, come ho visto morire una nonna che chiedeva “dov’è la mia mamma?”. E una stronza che riesce a rispondere male a suo padre anche quando questo, sfigurato dall’Alzheimer, è stato a un soffio dalla morte, no, non posso né voglio farmela piacere, e mi solleva dubbi anche sull’autore di tale porcata.
E no, la redenzione a una facciata dalla fine melensa non conta. Mostra meno.

Pubblicato da Ro

Classe 1984, insegnante di scuola primaria full-time, editor free-lance e teatrante per passione. Laureata in Scienze della Formazione Primaria nel 2015, attualmente iscritta a un Master in Editoria. Autismo e ADHD rendono la vita più interessante, la libertà fuori dalle convenzioni la rende degna di essere vissuta.